(di Paolo Colucci)
Dostoevskij è l'ultima opera dei fratelli D'Innocenzo. Già in concorso alla Berlinale e disponibile su Sky e Now dal 27 novembre, per chi si fosse perso la doppia proiezione in atto 1 e 2 tra l'11 e il 17 luglio scorsi. Si tratta di un noir ambientato, forse, in un posto indefinito del Veneto – anche se i personaggi hanno una dizione perfetta, quasi insopportabile, e si lasciano andare a espressioni poco credibili tipo "Cristo d'un Dio" e "fottuto" prima di un sostantivo.
È evidente che parliamo di un prodotto destinato ad essere sottotitolato o doppiato per andare il più lontano possibile dall'Italia. Cosa buona e giusta, dal momento che i D'Innocenzo Bros sono i registi "meno italiani" dello Stivale. In Dostoevskij ritroviamo la loro sciatteria studiata ad arte, le periferie fotogeniche, i colori slavati, le bruciature di sigaretta sulla pellicola. Loro che si sono guadagnati l'appellativo di "Gucci Brothers" – senza nasconderlo – sono gli hipster stilosi dei red carpet di Roma e Venezia, ossessionati dal macabro e della microstoria contemporanea. Questa volta si cimentano in una thriller lungo, nero come la pece, che vede un poliziotto dipendente da psicofarmaci discendere nei bassifondi dell'umano, tra periferie desolate e orfanotrofi abbandonati, sulle tracce di un verboso killer che lascia sulla scena del delitto fitte pagine scritte a mano zeppe di riflessioni sulla vita – da qui il soprannome affibbiatogli dalla polizia. Seguiamo l'impeccabile Filippo Timi mentre rincorre una figlia tossicodipendente (Carlotta Gamba), in un vortice di autodistruzione e incomunicabilità.
Scomodare il sottosuolo dostoevskiano richiede del resto una regia dai ritmi nevrotici, nessun pudore nel raccontare la bestia umana e un'aderenza asfissiante al contemporaneo. Con buona pace delle anime belle.
Aldilà del formato poco convenzionale – che a partire da film extra-size come Loro ed Esterno notte non è più un tabù – con la loro prima serie i D'Innocenzo fanno man bassa del primo Lanthymos e dell'horror italiano più audace, strapazzando i canoni del genere noir oltre ogni misura. Un'impresa che esalta la scrittura e la fotografia del duo romano, oltre ad essere un'ottima notizia per il cinema d'autore nostrano.